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Un frammento dalla piece "Sogni precari confusi disillusi", di Mariano Lizzadro. Regia di Lucio Corvino. Selezione musicale di Lucio Corvino e Mariano Lizzadro. Con Mauro Savino.
"Sogni precari confusi disillusi" si iscrive nel percorso di ricerca intrapreso da Mariano Lizzadro in campo teatrale a partire dalle varie rappresentazioni di "Sanbasiluc - Viaggi nei paraggi", spettacolo proposto per la prima volta nel 2006. In "Sogni confusi precari disillusi" Lizzadro propone una cifra contenutistica e testuale caratteristica della sua ultima produzione: i temi sociali non vengono dimenticati, ma la dimensione "sospensiva" ed onirica - ambiguamente tesa tra sogno, incubo e realtà - trova qui una sua peculiare accentuazione. Si assiste a cambi di registro e di intenzione senza soluzione di continuità, sicché non esiste un appagamento nella consolazione calderoniana che la vita è sogno, ma un tremore costante dato dalla continua sensazione del non sapersi più: la vita è sogno-incubo e il sogno-incubo è vita. Il precariato di Lizzadro è molto più che lavorativo. Si tratta della presa d'atto di una frammentazione del soggetto inevitabile e con forti rischi di irreversibilità. Tutta la vita è precariato, precarizzazione, lavorio. I nostri tempi hanno solo dato a questo sostrato esistenziale dell'inafferabilità dell'esserci una connotazione socio-culturale prosaica, avvilente e assassina. Assassina della dignità innanzitutto. Il personaggio dello spettacolo non ha la possibilità di auto-progettarsi e di auto-realizzarsi. E' in esilio involontario dal mondo. Dalla vita. Il precariato lavorativo ha fatto degli uomini dei "significanti senza significato", come diceva Levinas che coniò l'espressione per gli internati nei campi di concentramento e per gli analoghi lagher dell'oppressione sociale. Ecco dunque lo sbocco nel piccolo incomprensibile (ma comprensibilissimo) dramma della solitudine indotta dalle proprie condizioni materiali, dopo che per tutta la vita si è studiato per rendersele almeno degne. Ecco dunque l'accentuazione di quella dimensione onirica. In Sanbasiluc, Lizzadro lavorava sulla storia della Storia e sulla parodizzazione del Potere. Qui si occupa dell'Individuo. E l'individuo non ha il sostegno dell'andirivieni delle epoche per rintracciare il senso di una storia vinta o da vincere. Ha solo se stesso. Nella stessa ottica e in una prospettiva di ricerca sul 'testo', Lizzadro spezza, sconnette, assona e dissona, lancia messaggi e li fagocita. Il testo di questo spettacolo, è spesso sganciato, non-immediato, arriva 'dopo'. Il linguaggio, limite per se stesso, viene restituito ad una mimica oscura. Scomoda. Che si sottrae (vedi altri frammenti disponibili su youtube). Vinto e risorgente dal suo stesso inevitabile morirsi. La scena: la regia di Lucio Corvino cambia nel cambiamento. Volutamente qui il personaggio si muove poco. O si muove molto. Macchina da presa di se stesso fissa un confine breve, quello della sua stanza, ma anche quello della sua vita. Che pare inbozzolata, chiusa, rabbiosa senza agitazione: l'oggi ha ucciso la motilità delle emozioni. E' possibile solo lo scoppio o la caduta improvvisa. Il punto non è se ci sia o debba esserci speranza, ma se non esista quasi, ormai, che il suo solo calco negativo. Il sonno stesso viene denudato e diventa risveglio agitato o riflessione: ovvero la sua negazione. Come negato è lo stesso sogno. Lo stesso sognare. Ecco perché il precariato lavorativo è inglobato in quello esistenziale: lo evoca e lo accentua. Difficile quindi stigmatizzare questo lavoro propriamente come teatro sociale. Doveroso accennare qui al luogo di questa rappresentazione. Il Sotteatro, messo a disposizione dalla Compagnia Abito in scena di Potenza, a cui va la nostra gratitudine, ambiente 'breve' figlio delle cantine teatrali degli anni '60, è stato il palco ideale di questo frammento sghembo d'umanità. (by Mariano Lizzadro, nella foto)
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